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![]() ![]() ![]() ![]() ![]() Ex chiesetta di san Michele, secolo XII, ora museo di storia naturale del Parco regionale dell'Adda sud.
Alcuni studiosi ritengono che il nome "Villa Pompeiana" derivi dal fatto che proprio in quest'area si trovassero una villa e addirittura un porto fluviale fatto costruire dal patrizio romano Gneo Pompeo Strabone (150-80 a.C.). In suo onore, dopo la conquista della Gallia Cisalpina da parte dei romani, il maggior abitato della regione a sudest di Mediolanum venne ribattezzato come Laus Pompeia (oggi è Lodivecchio).
Una volta, fin verso l'anno 1100, al posto di Zelo Buon Persico c'era un lago. Si chiamava lago Gerundo (o Gerendo, o anche Geroso). Più precisamente, il lago Gerundo si trovava nell'area compresa tra l'attuale corso del fiume Adda e la scarpata che delimita il territorio cremasco, entro cioè una linea ideale intermedia tra l'Adda attuale e il Serio.
Villa Pompeiana fu feudo dei Cani, Signori di Bisnate; vi era allora un porto sull’Adda. Ai Cani successero, nel feudo i Triulzi nel 1647. Il 5 gennaio 1727, Giovanni Battista Modignani, Presidente del Senato di Milano, nel suo testamento, lasciò all’Ospedale di S. Stefano di Lodi alcuni beni di Villa Pompeiana, con carico di messe.
I fedeli di Villa, rimasti privi della chiesa a seguito dell'alluvione, costruirono in luogo elevato un oratorio dedicato a San Michele Arcangelo.
In occasione di un'ultima pestilenza l'oratorio fu adibito a lazzaretto per ricovero degli appestati.
Vivere in prossimità del lago Gerundo non doveva essere molto confortevole e sicuro prima della grande opera di bonifica iniziata dai monaci cistercensi e benedettini, proseguita nel 1220 con la creazione del canale Muzza.
Secondo una leggenda dell'Alto Medioevo, nel lago Gerundo viveva il drago Tarantasio, vero terrore per gli abitanti del luogo: il drago si avvicinava alle rive nutrendosi di piccoli mammiferi e bambini, con il suo alito inquinava l’acqua ed era causa di epidemie. Un drago in cui la fantasia popolare ha probabilmente voluto impersonificare le esalazioni di quelle zone malariche.
Un giorno arrivò un valoroso cavaliere, il fondatore della famiglia Visconti, che uccise il drago e adottò il biscione come simbolo della sua casata. Secondo una credenza popolare si racconta che il drago fosse poi stato trasportato come trofeo in una chiesa della pianura lombarda.
Dopo la frazione Mignete, sulla sinistra, si gode la vista del Mortone, un’area paludosa, vasta circa trenta ettari, coperta di canneti palustri, con sorgenti e un corso d’acqua libera, un punto di ritrovo per numerose specie di uccelli.
Nel Mortone, presso Villa Pompeiana, è stata rinvenuta nel 1977 una piroga monossile, ossia un’imbarcazione molto primitiva, costituita da un unico, enorme tronco d’albero appositamente scavato. Dopo la pulitura e le analisi al radiocarbonio, risulta che la piroga risale al 490 d.C.
(FONTE: Giuseppe Aliverti, Giovanni Canzi
Fotografia di Pino Secchi)
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Siamo nell’Alto medioevo.
Il monaco Sabbio nel 1110 scrisse la storia di Tarantasio il mostro del lago Gerundo (scomparso a seguito di bonifiche), che si nutriva di bambini e uomini.
A quel tempo i fiumi Adda, Oglio e Serio con i loro straripamenti formavano il lago Gerundo, una sorta di immensa palude, il quale era poco profondo ma molto esteso: infatti occupava vaste zone della provincia di Bergamo, di Lodi e di Cremona e si estendeva fino ai confini di Milano.
Nel lago vi erano anche numerose isole, la più importante delle quali era l’isola Fulcheria sulla quale nacque la città di Crema.
Ma torniamo a Tarantasio.
La descrizione del mostro è quella classica di una creatura serpentiforme, con la testa enorme e grandi corna, con coda e zampe palmate, che sputava fuoco dalla bocca e fumo dal naso: un vero e proprio drago!
Un documento del 1300 riporta la notizia di una creatura di grosse dimensioni uccisa a Lodi a cui fu dato il nome di Drago Tarantasio e le cui ossa furono conservante fino al 1800.
Testimonianze del mostro se ne hanno anche a Milano: in un affresco del 1200 nella chiesa di San Marco è riportata l’immagine di un uomo vicino ad un grosso rettile simile ad una lucertola gigante che fuoriesce dall’acqua.
Il drago Tarantasio viene rappresentato anche nello stemma di Milano (i Biscione con un bambino in bocca), dell’antica famiglia Visconti. Secondo la leggenda infatti il drago fu ucciso da un cavaliere vicino a Calvenzano. Questi era il fondatore della famiglia Visconti.
Un’altra leggenda vede invece come uccisore di Tarantasio il vescovo di Lodi, Bernardino Tolentino, che poi portò in processione il drago morente facendo voto di restaurare la chiesa di S. Cristoforo a Lodi.
Lo scheletro, o comunque almeno una costola della creatura, fu conservato nella chiesa stessa fino al 1700. Vi sono tra l’altro numerose testimonianze della presenza dello scheletro all’epoca e ancora oggi nel bergamasco e nel cremonese sono conservate costole di dimensioni superiori ai 2 metri, attribuite a questa creatura, ma ritenute dagli esperti invece resti appartenenti ad animali preistorici.
(Fonte:Davide Longoni)
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La “Giornata nazionale dell’Albero” nasce con l'obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza del patrimonio arboreo e boschivo mondiale ed italiano per la tutela della biodiversità, il contrasto ai cambiamenti climatici e la prevenzione del dissesto idrogeologico.
![]() ALBERI: varietà antiche (e quasi dimenticate).
![]() L'Italia è fra i paesi con il patrimonio artistico più antico e prezioso del mondo, ma lo sapevate che nella nostra penisola ci sono degli albei ancora più antichi della Torre di Pisa o addirittura del Colosseo? Un'indagine del Corpo Forestale dello Stato, risalente a qualche anno fa, ha censito circa 22.000 alberi italiani di particolare interesse naturalistico e storico: veri e propri monumenti naturali, testimoni di grandi eventi e personaggi storici. Ci sono alberi legati alla vita di Santi famosi, altri a figure come Garibaldi oppure gli "alberi della libertà" piantati dai Carbonari del Risorgimento. (Fonte: http://giardinaggio.lavorincasa.it/tag/alberi-secolari/)
![]() Il contadino, dopo l'ennesimo inutile tentativo, controllò la lama del vomere. Era incastrata in qualcosa che la bloccava. Guardò meglio e scoprì che si trattava di un grosso pezzo di muro sul quale, dipinta ad affresco, c'era un'immagine quattrocentesca della Madonna Assunta. L' effigie si rivelò subito miracolosa: il parroco, don Baldassarre Burlotti, muto da due anni, riacquistò la parola, mentre l'artrite che affliggeva il contadino di Pantanasco, sparì di colpo. Per ricordare quell' evento, una copia del dipinto fu collocata nell'incavo del grande olmo (gabo' n), che si ergeva ai bordi del campo. Ancora oggi, sebbene più volte sostituita nel corso dei secoli, la Madonna del Gabo' n, come la chiama la devozione popolare, rimane su quell'olmo. Ed anche l'albero ha una storia avvolta nel mistero. Nel secolo scorso infatti si era deciso di abbatterlo per ricavarne legna da ardere. L' effigie della Madonna venne tolta, l'olmo sradicato e abbandonato sull'aia della cascina Pantanasco. A primavera, nonostante le rugose radici scoperte e appoggiate sull' aia, i rami dell'olmo si ricoprirono di gemme... Lunedì 11 giugno 2012, ore 17.15: una tromba d’aria lambisce Montanaso e spezza e abbatte il Gabòn. Il Gabòn è spezzato. Ma due cloni sono già da tempo nelle mani di Marco Mizzi e del professore di agraria Daniele Bassi. E poi il piede del Gabòn è ancora al suo posto: ci sono già due bei getti vitali, si tratta solo di aspettare.
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